Corso Garibaldi, 71 81055 Santa Maria Capua Vetere
+39 0823 846164
info@angelococozza.it

Separazione e Divorzio: Un Supporto Legale e Umano con lo Studio Legale Cocozza

Civilista | Diritto Commerciale | Diritto Societario

Created with Sketch.

Sia per l’assegnazione che per il divorzio particolari frizioni sorgono spesso circa l’assegnazione della casa coniugale. In tale aspetto si verificano i maggiori attriti per i coniugi, poiché il coniuge estromesso – soprattutto quando sia il proprietario esclusivo o unico dell’immobile – viene fortemente penalizzato; molto spesso l’assegnazione della abitazione si traduce in una espropriazione se non definitiva, destinata a perdurare per molti anni. Sinteticamente si può qui precisare che l’istituto dell’assegnazione della casa coniugale è regolato dl’art. 155 quater aggiunto al Codice Civile dalla Legge 54/2006 (sull’affido condiviso). Questa norma, rubricata come “assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza” stabilisce che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643. Nel caso in cui uno dei coniugi cambi la residenza o il domicilio, l’altro coniuge può dunque chiedere, se il mutamento interferisce con le modalità dell’affidamento, la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati, ivi compresi quelli economici”. L’interpretazione oggi data alla norma dalla Corte di Cassazione è quello secondo cui il diritto all’assegnazione della (ex) casa coniugale spetta al genitore con cui convivono i figli minorenni o maggiorenni non autonomi conviventi e ciò indipendentemente dal fatto che sia o meno titolare di un diritto reale o personale di godimento sull’immobile. Lo scopo della norma è quella di assicurare una pronta e conveniente sistemazione della prole incolpevole del fallimento del matrimonio e di impedire che questa, oltre al trauma della separazione dei genitori, subisca anche quello dell’allontanamento dall’ambiente in cui vive ed infine di favorire la continuazione della convivenza tra loro. Attualmente, la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito questa rigida interpretazione della legge, escludendo il diritto all’assegnazione della casa familiare laddove non vi siano figli minorenni o maggiorenni non autonomi ed annullando tutte quelle interpretazioni estensive della norma che tendevano a riconoscere il diritto all’assegnazione della casa anche a favore del coniuge economicamente più debole, pur in assenza di figli, privando della proprietà il titolare del bene. La giurisprudenza maggioritaria nega appunto questa possibilità sul presupposta che il diritto del coniuge proprietario del bene subirebbe una limitazione eccessiva, in contrasto con l’art. 42 comma 2 della Costituzione, in quanto egli ternerebbe in possesso dell’abitazione solo in caso di decesso dell’altro coniuge, o di sue nuove nozze.

L’assegnazione della casa familiare costituisce una facoltà di godimento qualificata come “diritto atipico personale“, che, pertanto, non priva il proprietario dell’immobile della disponibilità del suo diritto dominicale. Da ciò derivano alcune conseguenze: secondo un costante orientamento giurisprudenziale l’assegnazione comporta l’accollo di tutti gli oneri condominiali ordinari a carico del coniuge assegnatario; mentre le spese straordinarie continuano a gravare sul proprietario; su quest’ultimo continuerà a gravare anche l’imposta comunale sugl’immobili (ICI). Le eventuali rate di mutuo preesistente sull’immobile continuano ad essere di competenza del coniuge che si è accollato il mutuo, salvo diversi accordi tra i coniugi.

Per quanto attiene all’affidamento dei figli: consistente nell’obbligo di custodia dei figli inteso come obbligo per ciascun genitori di provvedere a tutto ciò che occorre per garantire una esistenza civile e dignitosa ai figli. Con la citata legge 54/2006 è stato introdotto il c.d. affido condiviso, disciplinato dal novellato art. 155 del c.c., che così recita:

“Art. 155. – (Provvedimenti riguardo ai figli) – Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole. La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente. Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando

1) le attuali esigenze del figlio;
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
4) le risorse economiche di entrambi i genitori
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.
Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi“.

Con l’attuale normativa, quindi, la custodia dei figli è prioritariamente attribuita sia al padre che alla madre. In verità l’innovazione è più che altro una innovazione di principio. Nella pratica poco è cambiato rispetto alla precedente normativa (affidamento ad uno dei due coniugi), poiché i figli vivono per lo più con un solo genitore e quindi la custodia dell’altro appare più che altro simbolica.

Loading